L’intervento chirurgico per il rettocele 

L’intervento chirurgico per il rettocele 

L’intervento chirurgico è il sistema più risolutivo per affrontare una volta per tutte il problema del rettocele, un problema esclusivamente femminile che consiste in una estroflessione della parete del retto verso la vagina a causa del cedimento del setto retto-vaginale (la parete tra il retto e la vagina stessa). Il rettocele non è un disturbo grave, quindi non causa danno alla salute in generale e non degenera in una forma tumorale. Può però causare dei disturbi fastidiosi (e a volte invalidanti), come una sensazione di dolore e pesantezza nella zona perineale, nella parte bassa dell’addome o anche della schiena, può rendere difficoltosi i rapporti sessuali, ma soprattutto predispone a una forma particolare di  stitichezza, detta stipsi espulsiva o “outlet syndrome” , con senso di ostruita e incompleta defecazione (vedi box). 

L’intervento 

Si rende necessario intervenire chirurgicamente per risolvere il problema del rettocele quando ha dimensioni così grandi da creare fastidio. Se infatti le dimensioni sono più ridotte, spesso il disturbo non dà sintomi e la donna può conviverci senza problemi.

Due tipi di intervento

La chirurgia del rettocele consiste nell’effettuare una sorta di “plastica” ricostruttiva del setto retto-vaginale  per rafforzarlo e restituirgli quindi la capacità di costituire un supporto valido per il retto durante la defecazione e per la vagina durante i rapporti. Fino a  non molti anni or sono, l’intervento veniva effettuato esclusivamente attraverso la vagina. Oggi i chirurgi preferiscono usare come via d’accesso l’apertura anale. Questa metodica comporta infatti una serie di vantaggi (si veda in proposito il relativo paragrafo) rispetto all’intervento per via trans-vaginale. È bene comunque precisare che in alcuni casi è ancora necessario ricorrere a questo intervento: per esempio, quando oltre al rettocele la donna è soggetta a cistocele (caduta della vescica in vagina).

È il chirurgo a decidere, in ogni caso, la metodica più adatta per l’intervento, dopo aver effettuato la diagnosi attraverso la visita e i controlli.

Prima gli esami

Sia che si operi per via trans-rettale sia per via trans-vaginale, è necessario che la donna sia sottoposta a esami di routine, che si eseguono per tutti gli interventi chirurgici.

Questi controlli servono per assicurarsi che la persona sia nelle condizioni più idonee per affrontare un intervento chirurgico. Si tratta di:

  • Esami del sangue
  • Elettrocardiogramma

Gli esami del sangue servono per assicurarsi che la persona non abbia problemi di anemia o di coagulazione, mentre l’ettrocardiogramma valuta la funzionalità di cuore e arterie, che devono essere in piena salute, in grado di superare bene l’anestesia e l’intervento stesso.

Questi esami possono essere effettuati qualche giorno prima dell’operazione o poche ore prima dell’intervento stesso, nella stessa struttura ospedaliera.

Altre pratiche importanti

Oltre agli esami di controllo, la persona prima dell’intervento viene sottoposta a un clistere di pulizia che stimola l’evacuazione, anche nel caso in cui l’intervento avvenga per via transvaginale. In questo modo gli intestini risultano ben puliti, quindi non solo il chirurgo può disporre di un campo operatorio libero e nitido, ma viene abbassato il rischio di infezioni causato dall’eventuale presenza di batteri fecali che possono contaminare la zona.

Inoltre alla persona viene fatto firmare un modulo, chiamato “consenso informato”. Si tratta di una procedura necessaria per ogni intervento chirurgico che ha l’obiettivo di rendere maggiormente consapevoli dei rischi, dei benefici e delle aspettative dell’intervento stesso. 

L’intervento 

Una volta che sono state portare a termine tutte le pratiche preparatorie, ha inizio l’intervento vero e proprio.

Che tipo di anestesia

L’intervento può essere eseguito con qualsiasi tipo di anestesia. Nelle mani di un chirurgo esperto di questa tecnica, l’intervento può essere eseguito tranquillamente con l’anestesia locale, ricorrendo a particolari accorgimenti che consentono di non fare sentire al paziente il dolore delle iniezioni e mirano a prolungare l’effetto antidolorifico per alcune ore nel periodo postoperatorio.

In alternativa viene scelta l’anestesia spinale “a sella”, che prevede l’inserimento del liquido anestetico tra le vertebre spinali attraverso la puntura di un ago sottile. In questo modo la persona perde la sensibilità nella zona corrispondente al “cavallo dei pantaloni”, ma resta cosciente e può quindi seguire le fasi dell’intervento.

Più raramente si ricorre invece all’anestesia generale, se la persona è emotiva ed è  necessario addormentarla completamente per essere certi che stia sufficientemente immobile.

Le fasi dell’intervento

La persona viene sdraiata su un lettino a “pancia sotto” (come quando si prende il sole sulla schiena), oppure le gambe vengono appoggiate su due sostegni laterali, simili a quelli del lettino ginecologico. A questo punto il chirurgo ha una chiara visione della zona su cui intervenire e può iniziare a operare.

Se si procede per via anale

L’apertura anale viene allargata attraverso il posizionamento di un divaricatore.

Il chirurgo introduce gli strumenti chirurgici e raggiunge la zona del prolasso. A questo punto incide la parete anteriore del retto, in corrispondenza alla zona di debolezza della parete, e mette allo scoperto la parete muscolare del setto retto-vaginale soggetto a cedimento.

Con strumenti chirurgici appropriati applica una serie di punti di sutura per “ricucire” letteralmente i muscoli che sono andati incontro a cedimento, in modo da avvicinarli gli uni agli altri. Questi punti vengono applicati sia in direzione orizzontale sia in direzione verticale, per rafforzare le fibre muscolari e correggere quindi al meglio la tendenza a cedere della parete del retto.

Una volta che questa fase di rinforzo si è conclusa, il chirurgo ricopre la zona con il lembo di mucosa che era stata sollevata, dopo avere asportato quella in eccesso (prolasso mucoso) che quasi sempre accompagna il rettocele. 

Viene quindi rimosso il divaricatore e la persona dopo un po’ viene rimessa in posizione distesa.

L’intervento ha una durata di circa un’ora.

Se si procede per via vaginale

Anche in questo caso la persona viene sistemata in posizione sdraiata sul lettino operatorio, con le gambe sollevate appoggiate a due sostegni, il divaricatore viene posizionato in vagina.

Il chirurgo con il bisturi “scolla” il rivestimento della parete posteriore della vagina, quello in corrispondenza del rettocele. In questo modo raggiunge la muscolatura del setto retto-vaginale. Una volta individuato il punto del prolasso, anche in questo caso applica punti di sutura che fanno in modo di rafforzare la parete del setto stesso. A questo punto viene riposizionato il rivestimento della parete mucosa, che cicatrizza normalmente.

Dopo l’intervento

La persona deve tenere la medicazione nella zona dell’ano per qualche ora, dopo di che viene invitata lavarsi ed applicare un pannolino di garza e cotone. È possibile avvertire un senso di tensione, di bruciore o una sensazione di pesantezza nella zona operata. In tal caso è possibile rivolgersi al personale ospedaliero, che potrà proporre qualche farmaco analgesico o antinfiammatorio per alleviare il disagio. 

Se l’intevento è stato esguito in anestesia locale o spinale , il paziente potrà bere e alimentarsi regolarmente poco dopo l’operazione. In caso si sia scelta una anestesia generale, invece, ci si potrà alimentare solo dopo che l’effetto dell’anestetico è completamente svanito (prima, è possibile avvertire una sensazione di nausea)

La funzionalità rettale

I muscoli rettali non devono essere sforzati troppo dopo l’intervento: questo potrebbe far cedere i punti appena applicati, che devono rinsaldarsi. Per questo motivo è possibile assumere lassativi (in genere è lo stesso personale a consigliare quali) per ammorbidire le feci e stimolare l’evacuazione. È tuttavia possibile notare un piccolo sanguinamento nella defecazione: se è contenuto non ci si deve preoccupare, se invece è più abbondante è opportuno segnalarlo.

Fino a 10-15 giorni dopo l’intervento, è possibile essere soggette a perdite di sangue o di muco, che possono però essere affrontate utilizzando un normale assorbente.

La degenza

La persona viene tenuta in ospedale per uno o due giorni. È possibile farsi una doccia già il giorno successivo all’intervento.

La ripresa delle attività

Il tempo per ricominciare a vivere normalmente varia da persona a persona. È importante fare quello che ci si sente di fare, senza sforzarsi o affaticarsi. È importante evitare gli sforzi fisici, soprattutto il sollevamento di pesi. Per i rapporti sessuali è bene attendere almeno tre settimane e comunque ci si deve sentire pronte.

Gli effetti a distanza

L’intervento chirurgico per la cura del rettocele è di norma ben tollerato e nella quasi totalità dei casi il disturbo non si presenta più. A volte, però, si possono verificare problemi di incontinenza temporane o di urgenza post-operatoria: queesto significa che vi è la necessità di correre in bagno al momento dello stimolo, oppure che si avverte il bisogno di evacuare più volte durante la giornata. Questi stimoli spariscono in genere tre o quattro settimane dopo l’operazione. 

In questo caso è bene segnalare il problema al chirurgo, che può insegnare esercizi di ginnastica per gli sfinteri e il pavimento pelvico. Ecco un esempio: si deve contrarre e rilassare l’anello muscolare che circonda l’apertura anale esattamente come si fa per trattenere lo stimolo a urinare. 

Una donna che è stata operata di rettocele può tranquillamente intraprendere una gravidanza, a patto di cercare di non avere problema di stitichezza. La presenza di feci nel retto, assieme al peso del feto, può infatti esporre al rischio di una recidiva.

Aiutarsi con il cibo

Chi ha avuto problemi di rettocele deve prestare attenzione a non andare incontro a stitichezza. È quindi importante che impari ad aumentare l’apporto di liquidi nella dieta (ammorbidiscono le feci) raggiungendo i due litri al giorno. Inoltre è importante assumere frutta, verdura e legumi ricchi di fibre, soprattutto prugne, kiwi, pere, spinaci, zucca, zucchine, fagioli, piselli, lenticchie, cereali integrali. Al posto dei lassativi chimici si possono usare quelli osmotici, cioè quelli che aumentano la concentrazione di acqua nelle feci, ammorbidendole.

Solo in centri specializzati

L’intervento di correzione chirurgica del rettocele è generalmente ben tollerato e può essere effettuato sia in centri pubblici, sia presso cliniche private.

È però importante affidarsi a centri specializzati in chirurgia coloproctologica: solo in questo modo è possibile essere certi che non si presentino recidive e che altri disturbi, come dolore e sanguinamento, siano ridotti al minimo.

Le due metodiche a confronto

I chirurghi tendono oggi a preferire l’intervento per via trans-rettale. Infatti questa metodica offre maggiori vantaggi soprattutto dal punto di vista del dolore: dalle persone operate è risultato che chi subiva l’intervento trans-rettale avveritiva meno dolore e si riprendeva più in fretta. Questo fatto è dovuto alla maggiore sensibilità dei tessuti vaginali rispetto a quelli anali.

In presenza di rettocele si tende quindi a preferire la via trans-rettale, che permette, tra l’altro, di risolvere altri disturbi che si presentano associati. È il caso delle emorroidi, di un’ulcera del retto o del prolasso della mucosa rettale, che quando è indebolita (per gli stessi motivi che causano rettocele, riportati nel relativo box), può cadere all’interno del canale anale, causando stitichezza e fastidio.

Si opta per la metodica trans-vaginale se oltre al rettocele il chirurgo diagnostica un prolasso in vagina di vescica (cistocele) o anche dell’utero. Anche in questo caso le cause che portano al problema sono legate all’indebolimento dei tessuti del pavimento pelvico. Operando per via trans-vaginale si può effettuare un intervento di plastica vaginale per la correzione degli altri disturbi presenti.